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MARCO GRIMALDI. CODICE LUCE

Marco Grimaldi. CODICE LUCE

Dal 16 marzo al 21 aprile 2024

Una mostra a cura di Matteo Galbiati

In collaborazione con Giulia Andrea Gerosa
con il Patrocinio di Comune di Iseo

Da sabato 16 marzo a domenica 21 aprile 2024

Nell’ambito delle mostre che Fondazione l’Arsenale dedica agli artisti contemporanei, le sale dell’edificio storico si aprono a un nuovo allestimento che ospita le opere di Marco Grimaldi (1967), in occasione dell’esposizione personale curata da Matteo Galbiati.

 
Marco Grimaldi. Codice luce costituisce un cruciale momento di riflessione sulla ricerca dell’artista, poiché analizza — nei tre ambienti in cui si suddivide il percorso di visita — le differenti modalità della sua espressione artistica. Dal piccolo al grande formato, dalla tela singola al polittico, fil rouge della produzione di Grimaldi è l’attenzione posta al segno e alla luce. In alcune opere, quali i polittici di Chimica e luce, emerge una precisione gestuale matematica, tale da apparire artificiale: l’artista raffina il segno affinché diventi pura fonte luminosa. In altre invece, come l’inedito Ultimo sudario, prevale la necessità espressiva sulla razionalità, dando vita a opere in cui la luce diventa più liquida e spontanea, rimandando a immagini biomorfe.

Grimaldi trasforma la statica base tradizionale della pittura — la tela — in un campo agente, nucleo fuso e magmatico, dove il colore si pone in uno stato di continuo fermento. Questa interpretazione della pittura è valida per tutta la sua produzione, dai lavori della fine degli anni Novanta, particolarmente materici, sino a quelli odierni, più meditativi e leggeri; in tutti i cicli di opere di Grimaldi emerge sempre la cura peculiare rivolta al gesto. Il segno man mano si è evoluto, diventando più dolce, fino a quasi scomparire, lasciando spazio a pure linee di luce in cui le cremie sono attenuate.

A tal proposito annota Matteo Galbiati nel testo critico che accompagna la mostra: “La dialettica tra luce e ombra, costante significativa e significante della ricerca di Grimaldi, pare eludere un’endemica contrapposizione netta, agendo proprio in favore di un equilibrio pacificato tra le parti che si attua attraverso passaggi continui, dall’una all’altra, in cui i due opposti si legano in una continuità fluida, dinamica, consecutiva. Il fattore chiave, l’elemento che può in questa impresa che dilava forme e geometrie, è il colore interpretato nel tempo con la cura di una stesura mai immediata, mai casuale, mai istintiva. Le luminescenze e le ombrosità sono carattere di un pensiero su cui lungamente Grimaldi ha meditato e che considera allora la Pittura quale riflessione non solo incentrata sull’apparire e sul manifestarsi di qualcosa da scoprire, ma anche è votata al ricordo, a quelle esperienze individuali che, sensibili e sollecitate, se attivate si interrogano sulla memoria che torna e si ritrova in qualcosa di nuovo e diverso.”

Oggi, la superficie delle sue tele appare levigata, eppure non nasconde mai la gestualità che l’ha creata. Questa affiora silenziosamente dalle sfumature sapienti, dalle calcolate imprecisioni e dai contrasti coerenti.

Marco Grimaldi. Codice luce si presenta come una selezione attenta e calibrata di alcuni lavori particolarmente significativi dell’ultima produzione dell’artista, il quale desidera caricare la pittura astratta di vita, per poter esprimere e comunicare un’emozione concreta”.

 

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Marzia de Tavonatti. IL PESO DEL VUOTO

Marzia de Tavonatti. IL PESO DEL VUOTO

Dal 27 gennaio al 3 marzo 2024

Una mostra

Con il patrocinio del Comune d’Iseo

E il supporto di Poliedro Studio

 

Il peso del vuoto
Per spiegare la trasformazione della realtà e il mutamento dei corpi, Democrito nel 400 a.C. circa, sentì la necessità di ipotizzare l’esistenza del vuoto, di un ‘non qualcosa’, del nulla inteso come spazio. Pose gli atomi alla base della composizione della materia, il
sostrato indivisibile. Nel vuoto gli atomi si muovono, si incontrano e si scontrano.
Nel corso dei secoli, il vuoto rimane uno tra i concetti più enigmatici, pervasivi del pensare, sempre attuale pur nel mutare delle concezioni fisiche e filosofiche e si delinea sempre più come un altro nome dell’essere.
Il vuoto come concezione del movimento, del divenire, del tempo.
Nello scritto ‘Il vuoto: un’enigma tra fisica e metafisica’ si ipotizza che il nulla non sia di per sé ‘vuoto’ ma consista, usando il linguaggio della fisica contemporanea, in uno ‘stato di di minima energia’, uno stato fondamentale che riempie uniformemente lo spazio e con
il quale alla fine coincide.
L’Apeiron di Anassimandro, che consente l’esistenza e il dinamismo di tutti gli elementi nel tempo, la Chora platonica, un elemento primordiale oscuro ed indivisibile, il Sein di Heidegger come trasparenza che fa vedere, attrito che fa muovere, intero che rende
possibile la parte, l’etere della millenaria tradizione fisica e metafisica come sostanza che pervade tutto l’universo e dentro la quale si muovono i corpi, compresa la luce.
Ed infine, in contrapposizione al pensiero filosofico occidentale, la vacuità, concetto centrale del buddhismo.
Se la sostanza è per cosí dire piena, ricolma di sé, Sunyata (vacuità) indica invece un movimento di es-propriazione, ovvero svuota l’ente che si ostina in sé stesso, che si irrigidisce in sé stesso o in sé stesso si chiude. Lo immerge in un’apertura, in un’aperta
vastità. Nel campo della vacuità nulla si condensa in una massiccia presenza. Nulla si basa esclusivamente su sé stesso. Il suo movimento sconfinante ed espropriante raccoglie il monadico per-sé in un rapporto di reciprocità. La vacuità non rappresenta
però un principio genetico, una causa prima da cui sorgerebbe ogni ente, ogni forma. Non le è insita alcuna potenza sostanziale da cui scaturirebbe un effetto e nessuna frattura ontologica la solleva in un ordine superiore dell’essere. Non delinea alcuna trascendenza
precedente l’apparizione delle forme. Forma e vuoto stanno sullo stesso piano dell’essere. Nessun dislivello dell’essere separa la vacuità dall’immanenza fenomenica.
Il vuoto o il nulla del buddhismo non è dunque una semplice negazione dei fenomeni, o una forma di nichilismo o di scetticismo. Rappresenta piuttosto un’estrema affermazione dell’essere. Soltanto la delimitazione propria della sostanza, che crea tensioni oppositive, è negata. L’apertura, la gentilezza del vuoto significa anche che l’ente di volta in volta presente non solo è nel mondo, ma che nel suo fondo è il mondo, che nel suo strato profondo respira le altre cose o procura loro lo spazio di soggiorno. Cosí in una cosa abita
il mondo intero.
In questo racconto fotografico si cerca di contrapporre i due pensieri filosofici, prima quello occidentale, gli scatti degli spazi di aggregazione, delle piazze, i mercati, i bar, la litoranea, durante il covid sono stati depauperati del loro significato e sono divenuti spazi
liminali, consegnandoci un senso di vuoto interiore, uno smarrimento che ha lasciato cicatrici in tutti noi; nella seconda parte le enormi distese del Ladakh che, nel loro essere disabitate, tutto suggeriscono fuorché uno svuotamento del loro significato e con il loro
vuoto trasmettono al contrario pienezza.
Parafrasando Borges:
‘Il vuoto è una tigre che mi divora, ma io sono quella tigre’. dell’Io, all’interno di quella trama sottile che collega tutte le cose.

 

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ARTISTI CONTEMPORANEI: Tiziano Ronchi TRACCE. Mycosium

Tiziano Ronchi TRACCE. Mycosium

Dal 2 dicembre 2023 al 7 gennaio 2024

Una mostra a cura di Camilla Remondina

Con il patrocinio del Comune d’Iseo

In collaborazione con Poliedro Studio, Assisi Raffineria Metalli Spa, IT’S, Inoxdep Srl e Lomopress Srl


La ricerca di Tiziano Ronchi (Brescia, 1995) si concentra sul concetto di traccia – infatti questo termine riecheggia spesso nei titoli delle sue mostre, compresa questa – intesa come simbolo di rapporti ed emozioni, ma anche di ricerche e percorsi di conoscenza: è ciò che lasciamo alle nostre spalle, ciò che imprimiamo oggi sul nostro cammino per riscoprirlo un domani, ciò che è sempre stato dentro di noi.

La Natura è il segno intrinseco della nostra esistenza, la Madre da cui tutto ha avuto inizio e da cui continua ad avere origine la vita. Oltre ad essere le nostre radici, è anche la guida prediletta dall’artista per indagare i rapporti umani, non solo tra l’uomo ed essa, ma anche tra l’Io e l’Altro e tra l’individuo e la propria essenza.

La mostra, intitolata TRACCE. Mycosium, rappresenta il percorso intrapreso dall’essere umano sin dalla sua nascita. Si tratta di un viaggio nel mondo, segnato inevitabilmente da incontri e legami con l’Altro che permettono di mantenere il contatto con l’esterno, e al tempo stesso un viaggio interiore, di continua scoperta e riscoperta di sé stessi.

Per rappresentare gli elementi e le forme della Natura, quale fil rouge della vita, l’artista si avvale dell’utilizzo dei funghi, i quali infatti assumono analogamente il ruolo di accompagnatori durante la visita, emergendo opera dopo opera. Questi organismi vegetali si caratterizzano per il loro micelio da cui prende il titolo questa personale, vista la sua struttura metaforicamente puntuale rispetto alla ricerca dell’artista. Questa rete di sottili radici, estese ed articolate, prolifera nascosta nella profondità del terreno, continuando a generare nuova vita e creando un tessuto connettivo in grado di unire e trasmettere impulsi a tutta la vegetazione. Allo stesso modo i funghi presenti nelle opere, estendendosi per tutto il percorso e costituendo un substrato coerente, mandano messaggi e suggestioni che permettono di percepire maggiormente il legame tra l’Io, l’Altro e la Natura. Come dei mantra, queste opere si servono della ripetizione e della ridondanza per far concentrare l’attenzione e quindi scavare più in profondità all’interno dell’Io, all’interno di quella trama sottile che collega tutte le cose.

Nella prima sala dell’Arsenale, l’uomo si eleva dalla terra in cui viene generato: attraverso un processo di aggregazione, possibile grazie al micelio, in lui si fondono gli elementi della Natura per giungere alla formazione del corpo e quindi alla nascita.

Proseguendo nella seconda sala, le opere proposte rappresentano come i soprusi dell’essere umano nei confronti della Natura trovino sempre una ricongiunzione pacifica con essa. Le ferite, le tracce, vengono rigenerate diventando frammenti puri di materia che il micelio ricompone, come un puzzle, legando indissolubilmente il passato al presente.

Nell’ultima sala, Ronchi dimostra come la consapevolezza di Sé, la riconnessione con l’Io, sia difficile da raggiungere; è un sentiero in salita da affrontare passo dopo passo, sempre uguale e costante: l’esercizio, infatti, permette di innalzare la mente percorrendo una rilettura della componente più materiale dell’individuo.
Questa ricerca termina, o forse si fa ancora più complessa ma necessaria, quando si comprende il vero strumento di ricongiunzione tra l’Io, la Natura e l’Altro: l’ascolto.
Solo così è possibile intraprendere la strada per la conoscenza dello Spirito.

 

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ARTISTI CONTEMPORANEI: DUCCIO GUARNERI. Grey dust

DUCCIO GUARNERI. GREY DUST

Dal 14 ottobre al 19 novembre 2023

Una mostra a cura di Camilla Remondina

Con il patrocinio del Comune d’Iseo

In collaborazione con Poliedro Studio

 

Polvere grigia come quella utilizzata per realizzare il cemento, simbolo dell’uomo che sovrasta la natura, ma anche come quella che lasciamo dietro di noi, quando la natura si riappropria di ciò che le è stato sottratto. Siamo solo di passaggio su questo pianeta e tutto ciò che creiamo è destinato alla decadenza, alla fine: Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem (dal latino: “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”).

Il grigio dei paesaggi antropizzati e gli elementi tipicamente edili, quali cemento, tubi e impalcature – usati come parte costitutiva, se non primaria, nelle opere oppure come supporti funzionali – segnano parte della ricerca di Duccio Guarneri (Cremona, 1994) che nella geometria e nell’ordine costruisce, quasi fosse un architetto, delle strutture utopiche in forte contrasto con la natura in cui sono inserite ad indicare le inquietudini dell’uomo, le sue ansie e le sue paure, le stesse che l’artista vive nella società odierna. Non è la natura ed esserci ostile, siamo noi ad esserlo nei suoi confronti.

Nella prima sala, luoghi utopici, abbandonati e disturbanti accolgono lo spettatore in una realtà al limite con la dimensione onirica, dove viene da chiedersi “C’è qualcuno qui?”. Qualcuno c’è, nell’angolo della stanza, in Cerchio, una figura resta in silenzio, sospesa nel tempo, mentre ripercorre su tutto ciò che ha imparato, tutto ciò che ha provato, per continuare a creare, immaginare: è la mente umana.
Con il ciclo P13 l’artista rappresenta scenari catastrofici, dove l’eccessiva contaminazione dell’uomo – evocata anche dalla fredda, pesante e opprimente cornice di cemento – ha guastato paesaggi perfetti, così da far riflettere sulle tematiche ambientali.

Proseguendo nella seconda sala volti semi-sciolti, scheggiati o, ancora, incrinati, teschi deformi e alberi secchi generano una sensazione di inquietudine che pervade lo spazio espositivo, un presagio che però è già scritto. È questo il destino dell’uomo, ma, come lo stesso artista dichiara: “Ogni condizione possiede un’antitesi, ma un’entità non può esistere senza l’altra, essendo la vita e la morte complementari. Una condizione è presente anche per impreziosire il suo opposto”.
Il teschio di capro (o becco), presente in mostra, ha dato origine al ciclo inedito Soon Will Be Cool Enough To Build Fires. Per l’artista questo oggetto bizzarro è stato il punto di partenza per una riflessione più ampia sull’errore, sull’anomalia che diventa particolarità, unicità, e racconta una storia speciale, generando curiosità e fascinazione.

Nell’ultima sala è presentata la componente più installativa del lavoro di Guarneri. M.A.D.E.R. è composta da matrici – il cui termine, non a caso, condivide la stessa radice del titolo, di madre – utilizzate per la lavorazione del ferro secondo la tradizione artigianale di Bienno, in Valcamonica, dove l’artista ha realizzato una residenza. Sono materiali di recupero segnati dal tempo, il cui scopo era plasmare e contenere i dischi di ferro durante la cottura per renderli altro.
Se Subsidence è metafora dell’essere trascinati in balia della corrente, del movimento imprevedibile, per via della struttura modulabile di cui è costituita che costantemente cambia e distorce i suoni riprodotti al suo interno, l’opera di fronte, Impasse (I will either find a way, or Im gonna make it myself), è il tentativo di contrastare questa impasse, appunto, che sembra non avere via di uscita, è l’invito dell’artista per sé stesso e per gli altri a “trovare un modo, o inventarne uno” (dalla frase latina attribuita al comandante cartaginese Annibale).

Duccio Guarneri

Duccio Guarneri, nato a Cremona nel 1994, ha conseguito il diploma triennale in Decorazione Artistica (2018) presso l’Accademia di Belle Arti SantaGiulia di Brescia e quello biennale in Arti Visive Contemporanee (2021) nella medesima Accademia.

Nel 2023 vince il Premio speciale della giuria – sezione Pittura di Kahleidon Festival – Latina, nel 2022 il Primo premio – sezione Scultura del Premio d’Arte di Città di Sarezzo e nel 2021 il Primo premio «Eros e Thanatos» a cura dell’Associazione Filosofi Lungo l’Oglio – Ospitaletto (BS).
Tra le recenti mostre si segnalano: nel 2023 Nem-jelenlét / Non Presence, a cura di di Tünde Török, a MyMuseum Gallery – Budapest, 20+ a call for drawings, a cura di Camilla Remondina e la direzione artistica del PREMIO COMBAT, a Cremona Art Fair; nel 2022 Nodi, a cura di Anna Piergentili, a Villa Galnica – Puegnago del Garda, EXPLO3, a cura di Anne Michelle Vrillet e Barbara Crimella, a Casa Valiga – Bienno, Esposizione Premio d’Arte di Città di Sarezzo, a Palazzo Avogadro, Et Lege. La sapienza conviene, a cura di Francesco Visentini e dell’Unione Cattolica Artisti italiani, alla Chiesa di San Zenone all’Arco – Brescia; nel 2021 ReA! Fair, REA Arte e Maryna Rybakova, alla Fabbrica del Vapore – Milano, In Absentia, a cura di Natalie Zangari, Giulia Palamidese e Paolo Sacchini, a Temù, Dualità nel trionfo. Una conquista o una perdita, a cura di Mino Morandini e del Borgo degli Artisti di Bienno, a Casa Valiga – Bienno; Kenopsia, a cura di Natalie Zangari, a Palazzo Palazzi – Brescia; nel 2020-2021 GestoZero. Istantanee 2020, a cura di Ilaria Bignotti, ACME Art Lab – Alessia Belotti, Melania Raimondi e Camilla Remondina -, Giorgio Fasol e Matteo Galbiati, a Museo di Santa Giulia (Brescia), Museo del Violino (Cremona) ed Ex chiesa di Santa Maria Maddalena (Bergamo).

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ACQUARIATERRAFUOCO. L’opera di Helidon Xhixha sul Lago d’Iseo

ACQUARIATERRAFUOCO
L'opera di Helidon Xhixha sul Lago d'Iseo

Dal 24 giugno all'1 ottobre 2023

Una mostra a cura di Ilaria Bignotti e Camilla Remondina

Con il patrocinio e sostegno del Comune d’Iseo

In collaborazione con Imago Art Gallery, Fondazione Cav. Lavoro Alberto Giacomini, Poliedro Studio e Le Giraffe Noleggi

 

Il Lago d’Iseo, nel territorio del Basso Sebino del Comune di Iseo e sul territorio di Clusane, ospita una mostra diffusa a carattere ambientale di sculture monumentali dell’artista Helidon Xhixha (Durazzo, 1970) e una sua mostra personale all’interno delle sale espositive della Fondazione l’Arsenale composta da opere scultoree a parete, bozzetti e una selezione di pubblicazioni consultabili.
È la prima volta che lo scultore di fama internazionale arriva a Iseo e sul suo territorio, ma anche più ampiamente nella Provincia di Brescia, dove mai era stato prima celebrato il suo linguaggio straordinario che adopera e manipola il metallo come se fosse un fluido alchemico capace di assumere forme e dimensioni di straordinaria potenza.
Sculture che dialogano con l’acqua e la terra, le architetture e la natura del paesaggio lacustre, grazie alle forme del metallo forgiato da Xhixha, capace di renderlo corpo rilucente e riflettente che si adagia armoniosamente nell’ambiente, svetta nello spazio e chiama a sé il paesaggio, coinvolgendo il pubblico ed il paesaggio in un rapporto di reciproco sguardo. Le sue opere, esposte nei più prestigiosi musei e siti culturali internazionali nel corso di oltre vent’anni di carriera, approdano sul Sebino con una leggiadra potenza e una maestosa sensibilità: alchimie della terra, raccontano una storia millenaria che pone in luce, oggi, anche i temi dell’ambiente e del suo rispetto. Pensiamo al grande Iceberg, che appare sul lungolago di Iseo, visibile dalla grande
passerella pubblica, e dichiarando la scottante centralità dei temi del clima e del global warming, ci invita a un percorso di conoscenza e di consapevolezza del bello naturale che ci circonda e che dobbiamo difendere.
L’acciaio, materiale di elezione di Xhixha, è materia resiliente che lo scultore sa piegare e modulare, estroflettere e curvare per assecondare le sue visioni plastiche: ora diventa colonna che pare accogliere le voci del mondo, obelisco dei valori di condivisione e umanità, come nel caso delle sculture Abbraccio di Luce e Lancio di Luce a Iseo e Obelisco di Luce a Clusane, ora si fa specchio della comunità, cassa di risonanza dei movimenti e dei gesti degli abitanti, come nel caso dell’opera Satellite nel passaggio dei portici di Piazza Garibaldi a Iseo.
Un progetto che si pone quale imperdibile appuntamento durante l’estate del 2023 in un ideale dialogo con quella grande, pioneristica installazione The Floating Piers di Christo: a sette anni di distanza, non solo la terraferma, ma anche l’acqua del lago di Iseo accolgono installazioni scultoree, in un percorso che sa coinvolgere il pubblico in un’esperienza emozionante e inattesa.

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FARE I CONTI CON IL RURALE. Edoardo Caimi, Marina Cavadini, Lucia Cristiani, Alice Faloretti, Oliviero Fiorenzi, Manuel Gardina, Nicola Ghirardelli, Edoardo Manzoni, Giorgio Mattia

FARE I CONTI CON IL RURALE

Dal 29 aprile all'11 giugno 2023

Una mostra a cura di Arnold Braho in collaborazione con Camilla Remondina e con il Patrocinio di Comune di Iseo e della galleria The Address

 

“Era il mondo ormai a essergli diverso, fatto di stretti e ricurvi ponti nel vuoto, di nodi o scaglie o rughe che irruvidiscono le scorze, di luci che variano il loro verde a seconda del velario di foglie più fitte o più rade, tremanti al primo scuotersi d’aria sui peduncoli o mosse come vele insieme all’incurvarsi dell’albero. Mentre il nostro, di mondo, s’appiattiva là in fondo, e noi avevamo figure sproporzionate e certo nulla capivamo di quel che lui lassù sapeva […]” (Italo Calvino, Il barone rampante, 1957)

 

Per fare i conti con il rurale e in senso più ampio con la natura, che è la principale attrice all’interno della ricerca degli artisti presenti nel progetto espositivo, bisogna fare un cambiamento di prospettiva verso le cose che costituiscono il mondo. Le modalità tramite cui percepiamo l’ambiente rurale e le strutture ecosistemiche, che compongono la nostra concezione di territorio, sono fortemente influenzate dalle scale di relazione a cui dobbiamo sottostare, rapporti che sono spesso disallineati a causa della mancanza di coordinate culturali per poterci orientare all’interno di queste conoscenze e pratiche. I meccanismi culturali che abbiamo prodotto ci consentono di decodificare la natura solamente attraverso l’osservazione di frammenti di realtà, permettendoci così di percepirla principalmente come oggetto di consumo, piuttosto che di conoscenza. Come orientarsi allora all’interno di queste cartografie naturali? Come vivere il corpo? Come concepire diversamente il tempo e la memoria? Come pensare invece le relazioni e i desideri? Come essere insieme?

La moltitudine di elementi che caratterizza la cosmologia di ricerche presenti all’interno del progetto Fare i conti con il rurale è prodotta dall’insieme delle relazioni poietiche, politiche, sensoriali, cognitive, emotive, e, grazie ad un certo grado di sensibilità verso la natura, viene inteso come luogo per la produzione del contemporaneo. Le ricerche si propongono come esperienza accumulata all’interno di un determinato contesto, con opere che, attraverso i vari linguaggi proposti, fondano la loro estetica e modalità d’espressione in un cambio di scala, capace di allinearsi a quello della natura, al suo tempo, ai suoi concatenamenti, alla sua memoria.

 

Il paesaggio come lascito dell’impronta collettiva e la decodificazione di cartografie mnemoniche, quanto l’analisi delle possibilità insite all’interno di questo tessuto stratificato, si materializzano in termini scultorei e installativi all’interno della ricerca artistica di Lucia Cristiani (Milano, 1991), mentre per Nicola Ghirardelli (Milano, 1996) la matericità opera sulla natura mediante tecniche e saperi antichi che riemergono ricontestualizzando strutture simboliche desuete, dando nuovo significato e inserendo in una nuova storia immagini ed elementi naturali.

Il focus ravvicinato dei movimenti e delle strutture di esseri vegetali e animali eseguiti da Marina Cavadini (Milano, 1988) mettono in luce la sensibilità e la fragilità degli ecosistemi, fornendo una rappresentazione di resilienza intrinseca in alcuni esseri viventi presenti in ambienti ostili. Allo stesso tempo Edoardo Manzoni (Milano, 1993) pone al centro della sua ricerca un’analisi dei rapporti di interdipendenza tra uomo e animale, in questo sono la caccia e le pratiche millenarie di sopravvivenza ad essere analizzate, e di conseguenza le successive imitazioni, la mappatura dei territori, la progettazione di strumenti.

Oliviero Fiorenzi (Osimo, 1992) utilizza l’apparato semiotico per reintrodurre strumenti di comunicazione legati al gioco, un linguaggio dell’infante che opera come dispositivo di contatto con gli elementi naturali stessi come cielo, terra e acqua.

Per Edoardo Caimi (Milano, 1989) il linguaggio fonda le sue radici nel primitivo, nel tecnologico e nel tribale, attingendo alle culture delle periferie suburbane e rurali, fondendosi attraverso materiali industriali ed elementi naturali, in una cornice narrativa che immagina strumenti di sopravvivenza all’interno di un contesto post-apocalittico.

L’immaginario all’interno delle opere pittoriche di Alice Faloretti (Brescia, 1992) sembra porsi come la concatenazione tra vari tempi, la proposizione di una continuità all’interno dell’opera che guarda a passato, presente e futuro rimodulandone i principi di base, dove un immaginario dettato dalle trasformazioni della natura e degli agenti atmosferici si fonde con quello dell’esperienza personale e della memoria. Allo stesso tempo Giorgio Mattia (Milano, 1997) attua la sua ricerca verso un duplice fronte all’interno del proprio lavoro: da un lato una vigorosa sperimentazione verso strutture a sostegno di immagini fragili, dall’altro una minuziosa attenzione alle politiche della rappresentazione della natura e delle sue ipotetiche trasformazioni nel tempo.

Infine Manuel Gardina (Brescia, 1990) focalizza la ricerca sugli elementi naturali traducendone l’immagine attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie e media, riproducendo attraverso linguaggi programmatici una riflessione del confine tra naturale e artificiale, ponendo in discussione le relazioni emerse all’interno del discorso contemporaneo fra i due elementi.

 

Fare i conti con il rurale si manifesta come un progetto di ricerca, proponendo linguaggi pratici che operano all’interno del panorama italiano con l’intenzione di visualizzare modalità d’azione e di riproduzione. La necessità è quella di apprendere, dalla natura e dal rapporto con essa, saperi dimenticati, espandendo l’immaginario a forme e formati che non esistono all’interno delle istituzioni e cornici contemporanee. Lo sguardo si situa così con una certa radicalità all’interno di posizioni sociali che fondano le loro conoscenze ai margini, contribuendo a modalità di sostegno, e allo stesso tempo rivendicando modalità di esistenza dei “commons” e immaginandone di nuovi.

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ARTISTI CONTEMPORANEI: FABIO LOMBARDI. Thanatomorphose

FABIO LOMBARDI. Thanatomorphose

Dall'11 marzo 2023 al 16 aprile 2023

Una mostra a cura di Alice Vangelisti e con il Patrocinio di Comune di Iseo e di Associazione falía*

Lo spettacolo della tanatomorfosi, cioè della decomposizione della carne, è motivo di ribrezzo e paura, in quanto intesa come attimo ultimo e ripugnante di distruzione, l’annientamento finale e irreversibile dell’Io fisico. Andrebbe – e a tutti gli effetti va – però immaginata anche come un passaggio, un’attesa parte di un processo ciclico di eterno ritorno: è proprio in questo senso che Lombardi rivede l’orrore distruttivo della decadenza e ce la mostra come un puro atto di creazione, che dall’odore putrido di morte innalza una sublimata rappresentazione di nuova vita.
Il lavoro di Fabio Lombardi si pone, infatti, in quella sottile linea tra la vita e la morte, mostrando l’inesorabile processo di mutamento che si pone nel mezzo, in bilico costante tra i due diversi stadi dell’esistenza umana.
Emblema di questo cambiamento è il corpo, terreno fertile per accogliere e raccogliere le tracce di un’inevitabile decadenza, che mostra però allo stesso tempo una rinnovata forma di bellezza, la quale sorge dall’oscurità e dalla putrefazione per dare vita a preziose composizioni sospese tra le pieghe della fragilità umana.
In questo senso, la mostra si fa portatrice delle fasi del mutamento, ispirandosi in particolare ai processi alchemici, che mirano a sublimare la materia in una forma sempre più alta e perfetta, raggiungibile solamente attraverso la corruzione della stessa. Per questo le muffe e i microrganismi protagonisti dei lavori di Lombardi hanno potenzialmente una duplice funzione: prima di tutto quello di corrompere la carne, ma allo stesso tempo, andando oltre l’orrido odore di putrido, sono in grado di generare una rinnovata immagine della bellezza.
Nelle preziose composizioni di Lombardi appaiono così questi corpi, sospesi in atmosfere cariche di estatica tensione, che si disfano sotto i nostri occhi, incarnando perfettamente il loro continuo e inarrestabile mutamento. Così finalmente dalla materia putrida e decadente si eleva in un delicato grido una potenzialmente infinita nuova vita e la decadenza e la morte sono glorificati per il loro contributo nell’inevitabile processo di metamorfosi. Ed è proprio qui, nell’interregno di dolorosa creazione e affascinante distruzione, in cui coesistono incanto e disperazione, che risiede la vera essenza della bellezza ricercata dall’artista.

Fabio Lombardi
Fabio Lombardi nasce a Gavardo nel 1993, attualmente vive e lavora tra la provincia di Brescia e di Trento.
Si diploma in Pittura presso l’Accademia SantaGiulia di Brescia.
Anatomia, filosofia e antropologia sono la matrice della sua ricerca artistica, che, attraverso l’utilizzo di diversi media, celebra la decadenza, come processo di sublimazione della forma e della materia, e il suo legame con la sessualità.
Così pittura, disegno, arte video e digitale, scultura e installazione diventano campo fertile per la germinazione di forme liminali che trascendono il definito, per fluttuare nella realtà dell’incorporeo.
Il legame con la Francia, dovuto alle origini della nonna paterna, lo introduce allo studio della filosofia francese del ‘900, approfondendo tematiche come Erotismo, Estetica ed Esistenzialismo, fondamentali per il suo percorso di crescita, e la struttura della sua visione.
Tra le mostre recenti si segnalano: nel 2021 Ligabue: la figura ritrovata, a cura di Matteo Galbiati e Nadia Stefanel, Fondazione Antonio Ligabue, Palazzo Bentivoglio (Gualtieri, RE). Inferno: oltre l’abisso, a cura di Matteo Vanzan, Palazzina Storica (Peschiera del Garda) ed Ex Cinema
Cristallo (Grado). Ivy, a cura di Matteo Galbiati e Felice Terrabuio, MiMuMo (Monza).
Nel 2019 (In)stanze d’incontro, a cura di Alice Vangelisti, Villa Damioli (Pisogne, Bs).

 

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BRÛLURES di Domenico Parigi

BRÛLURES (bruciature) di Domenico Parigi

Dal 21 gennaio 2023 al 12 febbraio 2023

Una mostra a cura di Beppe e Milla Prandelli con il patrocinio di Comune di Iseo

 

A quattro anni e un mese dalla morte, sabato 21 gennaio 2023, nella prestigiosa sede dell’Arsenale di Iseo sarà presentata “Brûlures”, l’ultima e inedita mostra del fotografo Domenico Parigi.

Si tratta di una selezione di opere postume, che stava eseguendo durante gli ultimi mesi della sua vita.

L’esposizione si comporrà di una quarantina immagini di dimensione 50 x 70 cm, stampate su carta fotografica con tinte dai riflessi metallici, scelte per ricordare la passione di Domenico per il fuoco e le sue luminescenze. La selezione, rispetto alla prima mostra organizzata per Domenico Parigi e per le sue bruciature, è stata rinnovata e ampliata. A impreziosire le opere d’arte saranno cornici e passpartout neri, scelti per fare risaltare le tinte brillanti e cangianti che lui adorava e che sono resi tali dall’uso del calore e delle fiamme che sono andati a diventare tutt’uno con la pellicola fotografica.

Per “Brûlures” (bruciature o ustioni in lingua francese) Domenico ha lavorato su negativi e diapositive sue e di altri autori, manipolandoli e poi intervenendo con il fuoco, che si è piegato al volere dell’artista, diventando per lui matrice di vita e vivacità. Con estrema perizia è intervenuto sui supporti usando punte accuminate di varie dimensioni rese incandescenti, fiammiferi e la fiamma di accendini di diverso tipo, dimostrando una manualità non comune, data la delicatezza del materiale su cui ha lavorato. Nei suoi interventi non solo ha bruciato parte dei supporti, ma ha lasciato che si accartocciassero parzialmente che si sciogliessero in alcuni punti e persino si rompessero. In “Brûlures” Domenico Parigi racconta sé stesso e il suo percorso artistico. Non solo: fa un chiaro invito alla sostenibilità e alla convivenza tra arte, artista e quotidianità. Ha scelto uomini e donne nei loro momenti più intimi, bambini italiani e stranieri colti nell’attimo del gioco, giovani graziose e civettuole, animi eccelsi e persone del popolo, in un crescere di sensazioni ed emozioni.

Domenico Parigi

Domenico ha operato sulla scena artistica lombarda dalla fine degli anni 70. Era artista a tutto tondo, fotografo, manipolatore e collezionista. La sua produzione è legata alla sperimentazione e, per la maggiore, alla fotografia creativa. È stato, tra gli altri, presidente del circolo fotografico le Molere di Sarnico in provincia di Bergamo e parte del Gruppo Ricerca Immagine di Brescia. Ha realizzato decine di serie: da quelle dedicate a Marilyn Monroe a quelle in cui ha raccontato il suo “The Floating Piers. Domenico faceva sua la fotografia, non limitandosi a scattare, ma intervenendo sulla pellicola, sulle foto istantanee, su opere di altri con graffi, rotture, colori improvvisi, luci immaginate e concretizzate, sempre con revisioni: a volte poetiche, altre irriverenti e sensuali, drammatiche o crude. Nel tempo è maturato profondamente, arrivando a leggere e interpretare i suoi soggetti, dando voce a chi e ciò che rappresentava nei modi che solo lui conosceva e che gli erano congegnali. Ecco dunque donne trasformarsi in fiori, uomini diventare gloriosi rapaci e bimbi tingersi di vita. Domenico ha raccontato la passione, l’amore e la carnalità, ma anche dolore e difficoltà, ricchezza e povertà, fato e coscienza. Non da ultimo vi è l’aspetto religioso, che ha visto Domenico trasformare uomini in essenze della crocifissione e della penitenza, sempre nel pieno rispetto di un Credo che aveva vicino e che lo toccava fino al profondo del cuore e dell’animo.

 

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BÉANCE. Materia e immagine del desiderio


BÉANCE. Materia e immagine del desiderio

Dal 22 ottobre 2022 all' 8 gennaio 2023

Una mostra a cura di Ilaria Bignotti e Camilla Remondina, col patrocinio del Comune d’Iseo,
presenta le opere di quattro artisti italiani contemporanei, Alberto Gianfreda (Desio, 1981),
Valentina Palazzari (Terni, 1975), Francesca Pasquali (Bologna, 1980) e Laura Renna (San Pietro
Vernotico, 1971), la cui ricerca è accomunata dal frequente riutilizzo di materiali industriali, tessili
e ceramici in un’ottica di recupero e trasformazione della loro storia e della cultura che
custodiscono.

“Non si tratta di una mostra terapeutica – affermano le curatrici – ma di un percorso affascinante
ed emozionante nel segreto dei propri desideri, attraverso la visione di installazioni e opere cariche
di potenzialità materica e iconica. Una mostra che consegna, a maggior ragione oggi, la speranza
di ritrovare un momento di pacificazione e di ricongiungimento con il proprio vissuto, con il proprio
bisogno di amare ed essere riconosciuti.”

Nei loro lavori i quattro autori utilizzano frammenti di vasi provenienti da diverse aree
geografiche, oggetti d’uso quotidiano quali ragnatori e setole industriali di PVC, filati intrecciati o
utilizzati come sudari.
In particolare, Alberto Gianfreda impiega frammenti ceramici di contenitori e oggetti destinati ad
altro uso, per realizzare arazzi materici di spiccata intensità e crea sculture formate da vasi spezzati
e poi riassemblati su maglie metalliche.
Valentina Palazzari utilizza cavi elettrici industriali di grandi dimensioni e affida a tessuti resistenti
il compito di tener traccia del mutamento scaturito dall’alchimia dell’acqua e del ferro. Le sue
opere diventano così contenitori di una memoria manuale che si collega ai gesti quotidiani e al
contempo trova in essi una potenzialità plasmatrice della memoria, il valore immateriale della
storia dei popoli e delle loro culture.
Francesca Pasquali accoglie i visitatori all’ingresso dell’Arsenale con una installazione dai toni
vivaci, formata da una miriade di ragnatori, le spazzole togli ragnatele, che diventano varco e
accesso alla mostra e, metaforicamente, a quel patrimonio di ricordi che l’opera d’arte attiva nel
visitatore. All’interno dello spazio, invece, creazioni formate da lunghe setole in PVC evocano i
filamenti della storia e invitano, ancora, a una visione empirica e tattile.
Laura Renna lavora con i materiali tessili a comporre grandi arazzi che riempiono gli spazi
dell’Arsenale con forme evocative che rimandano a una sapienza manuale antica.

Il titolo della mostra, Béance, richiama il tentativo del filosofo francese Jacques Lacan (Parigi 1901-
1981) di interpretare e mettere a fuoco la dialettica del desiderio, ovvero la modalità con la quale
ogni essere umano cerca, nell’età adulta, di reintegrare l’unità perduta con la madre, conseguente
alla fuoriuscita dal corpo materno, colmando il “vuoto” (béance) che ne è scaturito attraverso
l’individuazione di oggetti del desiderio che lo riconducono a quell’origine affettiva.
Allo stesso modo, le opere dei quattro artisti agiscono sullo spettatore come stimolo per un
processo cognitivo profondo, risvegliando nel loro inconscio immagini e parole, forme e possibili
metafore di un’unità perduta.

Download allegati: COMUNICATO STAMPA

Concept del progetto:

 

Ingresso – Francesca Pasquali:

 

Sala 1 – Valentina Palazzari:

 

Sala 2 – Alberto Gianfreda:

 

Sala 2 – Francesca Pasquali:

 

Sala 3 – Laura Renna:

logo_fondo-bianco2

Fondazione L’Arsenale

Vicolo Malinconia, 2
25049 Iseo (BS)
Tel. 030 981011
segreteria.arsenaleiseo@gmail.com

Come raggiungerci

 

 

 

Orari di apertura

giovedì – venerdì
15:00/18:00
sabato 
domenica e festivi
10:30/12:30
15:00/18:00

INGRESSO GRATUITO